Se solo avessi visto un’immagine dello sviluppo fetale non avrei mai scelto di abortire

2008-06-19

Appresi di essere incinta quando avevo 18 anni, dopo la mia prima esperienza sessuale. La nausea al mattino fu il primo segno rivelatore che il mio corpo stava cambiando e che una nuova vita stava crescendo dentro di me. Mentre tenevo la mia testa sopra il water piangevo senza controllo, comprendendo che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Ero oppressa dalla paura e dalla vergogna, e sapevo di aver bisogno di aiuto.
Quando lo dissi al padre del bambino, ruppe la nostra relazione immediatamente. Mi sentivo abbandonata e sola. Ero una matricola al college e mi dicevano che avere un bambino avrebbe rovinato la mia vita e la mia carriera futura. L’unica “scelta” di cui si parlava era l’aborto. Mi vergognavo di essere incinta e non sposata, e così pensai che l’aborto avrebbe risolto il mio problema.
Mi sentii spinta ad abortire in fretta perché ero molto vicina al limite delle dodici settimane. Non c’era tempo per pensare ad altre opzioni. Se avessi abortito nessuno avrebbe saputo della mia gravidanza, ed avrei salvato la mia famiglia dalla vergogna.
“Non dovrai neanche ammettere di essere mai stata incinta” fu il consiglio che ricevetti. Credetti alla bugia che era solo un ammasso di tessuto che poteva essere buttato via. Mi dissero che avrei potuto dimenticare l’aborto e continuare la mia vita senza conseguenze. Ma non potei dimenticare. Nelle relazioni con i ragazzi la prima cosa che rivelavo era il mio aborto perché ero terrorizzata dall’essere respinta. Per anni sono stata “pro-aborto” perché pensavo di dover giustificare il mio aborto.
Ho sofferto di esaurimento nervoso ed ho trascorso del tempo in una clinica psichiatrica per via della paura di non potere avere più figli. Mi sembrava di vivere al rallentatore perché la mia mente, un tempo acuta, era molto offuscata. Mi ci vollero degli anni per ripristinare la mia capacità di pensare e reagire normalmente. L’esperienza dell’aborto mi ha lasciato cronicamente depressa e confusa.
In seguito ho appreso che il mio nascituro di 12 settimane aveva un cuore che batteva e braccia e gambe pienamente sviluppate. Se solo avessi visto un’immagine dello sviluppo fetale non avrei mai scelto di abortire. Sentivo che mi avevano mentito ed ingannata.
Voglio che l’America sappia che l’aborto ferisce le donne. Le donne sono create per amare e nutrire i propri figli, non per farseli strappare dal grembo e gettare via. C’è una disconnessione tra il cuore e la mente di ogni donna quando acconsente ad abortire. Sebbene cerchi di dimenticare l’aborto e sopprimere i ricordi, alla fine guarderà in faccia alla realtà che suo figlio è stato mutilato dall’aborto.
Il mio rifiuto della realtà è durato 21 anni. Ho pianto senza controllo dalle profondità della mia anima per tre giorni, quando alla fine ho guardato in faccia alla verità. Il pianto dava sfogo al dolore nascosto e cominciò un percorso di guarigione che mi portò al perdono. Mi ricordo di aver gridato: Dove sono le donne? Dove sono le donne che vogliono parlare della tragedia dell’aborto?
Non voglio che nessuna donna attraversi il dolore e la sofferenza profondi che ho provato. Devo levare la voce e raccontare la mia storia per incoraggiare altre donne che stanno soffrendo in silenzio a cercare la guarigione emotiva ed il perdono.

Karen Bodle è la guida del Gruppo di Preghiera e la direttrice di Operation Outcry per la Pennsylvania. Il suo più grande desiderio è vedere l’aborto diventare una scelta socialmente inaccettabile negli Stati Uniti e nel mondo.
Karen è laureata in Matematica ed Istruzione al Juniata College. Dopo aver insegnato matematica alle superiori per alcuni anni, ha cambiato professione ed ha lavorato come programmatrice, analista di sistemi e project manager. Mentre viveva a Buenos Aires lavorando per l’IBM, ha fatto un’esperienza che le ha cambiato la vita e l’ha portata al suo impegno attuale: aiutare le donne a riprendersi dall’aborto. Karen risiede a Harrisburg con la sua figlia adolescente.

http://64304.netministry.com/images/KarenBodleJun08.pdf
Un grido senza voce


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